Stanze – Racconti

[vc_row equal_height=”yes” content_placement=”middle”][vc_column][vc_row_inner equal_height=”yes” content_placement=”middle”][vc_column_inner][vc_custom_heading text=”Stanze” font_container=”tag:h3|font_size:30px|text_align:left|color:%231fbcf1|line_height:34px” use_theme_fonts=”yes” css=”.vc_custom_1620308152582{padding-bottom: 8px !important;}”][vc_column_text]12 stanze, 12 incontri raccontati da Francesca Serragnoli[/vc_column_text][vc_empty_space][/vc_column_inner][/vc_row_inner][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_row_inner][vc_column_inner][vc_empty_space height=”15px”][vc_column_text]CAMERA 1

Silvia[/vc_column_text][vc_column_text]Quegli occhi giustiziati prima di morire, occhi di Gioconda sola, esposta a nessuno, in bagno, dopo il dipinto, guarda l’assolata fronte accartocciare una lamiera.
L’angelo nano le fa le boccacce al petto, arriva lì, batte le mani, fa giravolte. Ma nel petto la bomba afferra la bambina nuda, scioglie la corsa. Essa è sale.
Pietà di Santa Maria della Vita. Si guardano: riposano l’una sulla pietra dell’altra.
Bocche aperte nei letti. Un nido vuoto in bocca. Dio mio. L’aria posa sui petti una zia argentata.
Consolami, consolami, allungano le braccia, i clochard.
Le gambe tremano. Ho paura. Vorrei essere figlia di me, figlia. Avere intorno le manovre della culla, le manovre della fiaba. Occhi ridenti e fuggitivi, appesi a una corda. Dondola, la giovinezza.
Talvolta le gambe fingono di correre sui prati.[/vc_column_text][/vc_column_inner][/vc_row_inner][vc_row_inner][vc_column_inner][vc_empty_space height=”15px”][vc_column_text]CAMERA 2

Nello[/vc_column_text][vc_column_text]Nella stanza il tempo è quello dei disegni dei bambini, ma è tutto grigio chiaro, elegante.

L’aria è quella degli oggetti depositati su un foglio, quelli.

Si parla di poco, i capelli lavati, le calze elastiche, a che ora si è digiunato, qualcuno apre e chiude sportelli semivuoti.

Il tempo solitamente fugge o sosta in melanconici ragionamenti. Ora è radunato in piazza, come domenica mattina, come le mosche, in campagna, alle due.

Nello pesa 60 kg, a volte 62. Viene portato con ruote nuove di zecca, oliate. Il peso è tutto lì, nella cesta. Con il pedale bloccano il letto. Non sa dov’è. Corridoio 1, corridoio 2? Un fagotto il camice e nudo.

Si aprono perfettamente le porte di ogni ascensore, si vergogna. Mi guardano, che pensano? Nessuno mi saluta. Buongiorno come va? In un nodo di silenzio entra nella prima stanza, posato contro il muro. La gola è il nido dove tiene la vita.

L’uomo di fianco ha i baffi, lo sguardo rintanato, una larva opaca. Il chiacchiericcio si ferma, gli zoccoli avvicinano, battono pentole in gola, si va. Si guarda i piedi, la coperta, tiene le mani sotto la testa, poi le enormi lampade di gelido bianco. Il braccio spalancato, guardano la vena.

La preghiera è la mano sul getto di sangue, è la carezza a un cane.

Ci si sveglia davanti a qualcosa di bianco, di fianco l’uomo con i baffi. Qualcuno regola la goccia che rivedrai tutta la vita scendere pianissimo. Le persiane giù. La penombra precisa, misurata.

Fa piangere quella penombra, più del buio, per via della gioia e del dolore mischiati. Ottima stoffa la penombra. Allo specchio, tinta unita.[/vc_column_text][/vc_column_inner][/vc_row_inner][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][/vc_column][/vc_row]